Facciamo Pace o pausa caffè?
Credo che la situazione sia ai limiti. Non vorrei fare la solita citazione, ma come ha detto più volte Papa Francesco “Siamo già in una guerra mondiale, anche se nessuno lo vuole ammettere”. C’è tutta una situazione di falsità, dai massimi media agli uomini di potere, che soffiano sul fuoco per la conquista di un pezzo di terra.
Io ammetto la mia ignoranza sulla situazione di Gaza, non tanto della situazione attuale, che quella ce la sbattono in faccia ogni giorno, ma sono ignorante sulla storia, sul perché siamo giunti a questo orrore. Qui si mescolano i problemi politici con i problemi religiosi e questo mi crea disagio: non sapere bene la storia. Andare in piazza non sapendo bene la storia per me è ipocrisia.
Concludendo, oggi siamo pietrificati su Gaza, ieri sull’Ucraina, ma al mondo ci sono più di ottanta conflitti.
In questi giorni Trump ha fatto un passo avanti, ha fermato un po’ il conflitto e sono stati lasciati liberi degli ostaggi. Non so quanto potrà durare la tregua, una tregua non vuol dire pace, tregua è sinonimo di pausa, una pausa prevede una ripresa degli eventi, la famosa pausa caffè: dopo si riprende a lavorare. Mentre la pace è una condizione permanente, è una situazione di vita interiore e del sé.
Noi siamo invasi da notizie di tutti i tipi e la parola più utilizzata è la parola “pace”, ovviamente perché non c’è.
Giorni fa il nostro presidente Sergio Mattarella, si è recato alla comunità di Sant’Egidio di Roma, all’incontro “Osare la pace - Religioni e Culture in dialogo” (26/10/2025) e mi hanno colpito alcune sue frasi che voglio riportare.
“Il nazionalismo da opporre ad altri nazionalismi nasce dal considerare gli altri popoli come nemici, se non come presenze abusive o addirittura inferiori per affermare con la prepotenza e, sovente, con la violenza, pretese di dominio”.
“[...] osservando l’instabilità, le tensioni, i conflitti, la violenza - anche verbale - che caratterizzano la nostra contemporaneità, si registra la diffusione di atteggiamenti che, se applicati alla convivenza all’interno delle nostre società nazionali, meriterebbero l’appellativo di teppistici” mentre hanno “la pretesa, nelle relazioni internazionali, di essere considerati fatti politici”
“Le azioni di forza e i fatti compiuti, pretendono di assumere la natura di situazioni definitive, mentre non sono che la premessa dell’esplodere di future contrapposizioni”.
Quello che sta succedendo è che sta continuando la distruzione mondiale, che i poveri sono sempre più poveri e i poteri distruggono i poveri invece di aiutarli. Bisogna ripartire da un’altra prospettiva: che l’altro è uguale a me stesso.
Come diceva Umberto Tozzi nella canzone “Gli altri siamo noi” (1991):
“e gli altri siamo noi ma qui sulla stessa via / vigliaccamente eroi lasciamo indietro pezzi di altri noi / che ci aspettano e si chiedono perché nascono e subito / muoiono / forse rondini foglie d'Africa / ci sorridono in malinconia / e tutti vittime e carnefici / tanto prima o poi gli altri siamo noi”.
La “cultura dell’altro” è la più difficile da fare passare perché guardiamo sempre al nostro orticello e abbiamo perso il gusto di alzare il nostro sguardo e verso l’orizzonte.
La cultura dell’altro è un punto fisso del Centro Documentazione Handicap perché l’altro è sempre diverso da noi, ci dobbiamo rapportare alla diversità, se non ci relazioniamo al diverso facciamo solo delle tregue, delle pause caffè e non costruiamo la cultura della pace.
E voi volete fare pause caffè o costruire la pace?
